23 aprile 2024
Aggiornato 08:30
La storia

La vita da bar dei fratelli Giordano, tra un padre sacerdote e via Italia

Parla il più grande dei tre: «Tutti credono sia un mestiere facile... Invece. E tra crisi e altro è dura fare il barista»

BIELLA - «Tutti pensano di poter aprire un bar. Forse perché credono che sia semplice lavorarci dentro e magari pure guadagnare bene. Invece non è così. Prima di saper fare anche solo il minimo indispensabile, devi sbagliare un sacco di volte. Capire bene come funziona tutto e quindi far diventare un lavoro vero stare dietro un bancone, richiede tempo. A me è capitato così. Anzi. A noi è capitato così. Ed successo nonostante il bar lo abbiano aperto i nostri nonni, che poi hanno passato il testimone a mio papà...». Parola di Niccolo Giordano, titolare insieme ai due fratelli gemelli (Pietro e Filippo) di uno dei più storici punti di riferimento del centro e quindi della città per un caffè o un aperitivo: il «Magnino», che dagli inizi del secolo scorso è una tappa obbligata per migliaia di biellesi.

LA STORIA - «Né io né i miei fratelli siamo cresciuti dentro il bar. Nel senso che abitavamo a Pavignano e quindi abbiamo trascorso l'infanzia e l'adolescenza dalle parti di Vaglio, tra oratorio e campi da calcio. Poi qualcuno di noi ha studiato, viaggiato e lavorato. E solo ad un certo punto ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: lo gestiamo noi il bar? E così siamo partiti con questa avventura». Erano i mesi a cavallo tra il 2008 e il 2009, quando i tre fratelli decisero di rilevare il bar da Corrado La Quosta, storico dipendente del bar, ancora in squadra, e di riprendere in mano la gestione dell'esercizio commerciale. I tre fecero una serie importante di lavori di ristrutturazione e partirono. «Mica facile. Io all'epoca ero minorenne – racconta Pietro, 23 anni, studente di Scienze politiche a Città Studi -. Facevo parte della società, che è intestata ai nonni ed a papà, ma davo solo una mano. C'era tantissimo da imparare e da fare. E bisognava farlo in fretta. Esempi? Capire come fare la spesa, senza sprecare e senza far mancare nulla. E poi il rapporto con i clienti. Oggi come ieri c'è chi vuole entrare e dire il meno possibile per avere il caffè o altro e chi invece deve per forza fare due chiacchiere, mentre tu che lavori hai la testa ad altri clienti... Dura, spesso molto dura».

IERI E OGGI - Portare avanti un bar, oggi, a Biella, vuol dire anche altro, soprattutto rispetto al recente passato. «La crisi del centro storico è evidente – aggiunge Niccolo, mentre Pietro annuisce -. La chiusura al traffico delle auto, non tanto di via Italia, che ci può stare, ma nelle zone adiacenti, poi lo spostamento del mercato ambulante, quindi la nascita degli "Orsi" e infine l'apertura del nuovo ospedale a Ponderano, rappresentano colpi duri per chi vive di commercio nel cuore della città. E' evidente a tutti che c'è in corso, da anni, uno spostamento verso la parte sud della città di attività e di servizi. Quando abbiamo preso in mano il bar, pochi anni fa, certo anche per l'effetto novità, preparavamo circa 600 caffè al giorno. Oggi ne facciamo la metà, forse poco di più... E non ci lamentiamo, perché nonostante tutti i problemi, l'attività gira, dandoci modo di pagare gli stipendi ai dipendenti e di rispettare le rate dei mutui contratti per i lavori. Quando abbiamo speso? Preferisco non ricordarmelo...».

PROTAGONISTI - «Io studio e alleno, solo Niccolo lavora al bar – racconta Pietro, giovane tecnico del Biella Rugby -. Però se posso do sempre volentieri una mano. Siamo giovani e quindi abbiano cercato di plasmare il bar a nostra immagine. Dopodiché abbiamo tanti clienti tra i pensionati, che vengono tutti i giorni da noi. Il cliente tipo? Difficile indentificarlo. Forse non c'è neanche. E' soprattutto un discorso di fasce orarie: commesse di altri negozi del centro, bancari, studenti... Un po' di tutto. All'inizio tenevamo aperto anche la sera, oggi non più. Troppo complicato, a Biella...». «L'idea di gestire il bar è ci venuta semplicemente – spiega Niccolo -. Ci piaceva essere protagonisti in un'attività imprenditoriale. E poi questa è casa nostra, della nostra famiglia. Non è mai stato solo un bar o un luogo di lavoro. Anche quando facevamo altro, sapevamo che il "Magnino" era speciale. Io poi amo vivere a Biella. Ho amici che abitano all'estero e mi prendono in giro, dicendomi di trasferirmi. Ma io sto bene, qui. Molto bene. Certo ho un lavoro, impegnativo, ma un lavoro. Per chi non ce l'ha perché l'ha perso o non l'ha mai trovato, il discorso è diverso. E penso soprattutto ai giovani che devono costruirsi un futuro. Io comunque apprezzo la dimensione umana della città, la pulizia, la vicinanza delle montagne e altro ancora...». «Sì, è così anche per me – racconta Pietro -. All'inizio eravamo un punto di riferimento per i rugbisti della città, visto che è lo sport preferito da tutti noi. In questo senso, spesso, quando in città arrivano squadre straniere per qualche sfida con la Nazionale, ho la conferma di quanto la città piaccia agli stranieri... Persone che ci dicono: Milano, Venezia, Roma... Magnifiche. Però a Biella si vive bene. Questo per dire delle potenzialità turistiche della nostra città. Ogni tanto anche noi lavoriamo con gruppi di stranieri, d'estate soprattutto: comitive di persone residenti all'estero che transitano per via Italia ed entrano da noi per un caffè o altro, facendoci i complimenti». «La nostra forza commerciale è rappresenta da uno zoccolo duro di clienti abitudinari. Poi c'è il discorso del passaggio in via Italia, legato alla presenza dei servizi – aggiunge Pietro -. E' chiaro che più persone transitano in via Italia e dintorni, più affari si fanno. Futuro? Difficile fare previsioni. Il buon andamento degli affari dipende da più fattori, alcuni che prescindono da noi».

LA FRASE – Su bar, bevitori e tutto quanto può starci in mezzo, l'ha detta meglio di tutti, forse, il grande Shakespeare: «Un quarto di birra è un piatto da re».