25 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Sport

Rugby, anche Biella rende omaggio al campione Jonah Lomu

La stella neozelandese è morta ieri, a soli 40 anni. I ricordi di giocatori, dirigenti e allenatore della squadra biellese

BIELLA - E’ scomparso nelle prime ore di ieri mattina, a Auckland, a soli quarant’anni, la leggenda del rugby Jonah Lomu. Era malato da tempo, sindrome nefrosica, causa ufficiale del decesso, un banale infarto. Il numero undici degli All Blacks è stata la prima vera star internazionale della palla ovale, ispirazione per generazioni di rugbisti che, impressionati dalle sue performance sul campo, hanno cercato di emulare l’incredibile atleta che era. Fuori dal campo, Lomu era tutt’altro che una star, umile e disponibile con tutti, non ha mai rifiutato un’intervista o deluso i tifosi grandi e piccini, che riconoscendolo, gli chiedevano foto e autografi. Ricorda uno di questi momenti Cesare Maia, consigliere del Biella Rugby, che lo incontrò per tre volte in occasione dei terzi tempi della nazionale italiana: saluti, strette di mano e grandi sorrisi erano per tutti. Non deluse neppure un giovanissimo Filippo Musso, quando nel 2004 lo vide a Roma, allo stadio Flaminio. Lomu era già ammalato, ma non negò un saluto e l’autografo sul biglietto della partita al suo giovane fan.

Le parole del tecnico del Biella Rugby
Callum McLean head coach del Biella Rugby, ne conserva il ricordo più vivo: «Nel ’93 lo incontrai come avversario, ad un torneo scolastico di rugby a sette. Era impressionante: gigantesco e velocissimo. Il suo nome era quello che tutti pronunciavano quando si parlava di ‘uomo da battere’, ma nessuno riusciva a fermarlo. L’anno dopo, a soli diciotto anni, indossava già la maglia degli All Blacks. Proviamo a chiedere ai ragazzi delle nostre giovanili, in quanti a quell’età si sentirebbero pronti per giocare a quei livelli. Lui era incredibile, non giocò benissimo contro la Francia quell’anno, ma ben presto divenne la leggenda che conosciamo. Centoventi chili di peso, era in grado di percorrere cento metri in dieci secondi. Ai campionati studenteschi giocava in terza linea, con la nazionale, grazie alla sua velocità, fu spostato all’ala rivoluzionando completamente quel ruolo. Nel ’95 contro l’Inghilterra, realizzò mete incredibili e ben presto semplificò il piano di gioco della Nuova Zelanda che poteva essere riassunto con un semplice: recuperate la palla e passatela a Jonah. L’ho rivisto a Roma, tra il pubblico del Flaminio, ma non chiesi autografi, noi neozelandesi siamo persone riservate».