18 aprile 2024
Aggiornato 18:00
Cultura

Massimo Fini: «Io? Un fallito di successo»

Il giornalista e scittore ha presentato la sua autobiografia «Vita», parlando poi del '68 e della crisi internazionale

BIELLA - Anticonformista. Antimodernista. Anarchico, forse. Agnostico, così almeno ha detto. Impossibile mettere tutte le etichette possibili al giornalista e scrittore Massimo Fini, che ieri sera ha presentato in città il suo ultimo libro (edito da Marsilio): «Vita». Un testo che prova a riassumere la ricca e contraddittoria biografia di un ex ragazzo dalle mille esperienze e altrettante avventure editoriali e personali. Da conoscere e da ascoltare, come sempre, il suo punto di vista: dalle vicende italiane al contesto internazionale.

Guerre e terrorismo
«Il terrorismo è figlio di quello che è stato fatto in giro per il mondo dagli americani e dai loro alleati militari - ha detto Fini, classe 1943, al Museo del Territorio grazie all’associazione culturale 'Biella Incontri e Racconti' -. Credo nell’autodeterminazione del popoli. Invece l’Occidente ha fatto disastri in Somalia, in Libia, in Iraq e poi in Afghanistan. La brutalità dell’Isis si spiega anche con gli errori commessi dagli occidentali, che pensano di poter esportare democrazia mentre invece fanno solo gli interessi delle multinazionali. Discorsi già fatti ma sempre attuali. Io in Afghanistan ci sono stato. Ci sono popolazioni dal grande senso dell'ospitalità. Certo, ci sono anche uomini che sanno combattere e, se aggrediti, difendersi molto bene. L’Isis? Rappresenta un’idea totalitaria come quella dei governi dell’Occidente: entrambe non mi piacciono».

Io? Un fallito di successo
«Mi considero un fallito di successo -  ha detto, tra le tante altre cose, Fini -. Avrei potuto salire su tanti carri del vincitore, invece ho perso delle occasioni. E penso per esempio all’andare a lavorare per Berlusconi, che ho conosciuto e intervistato alcune volte. Feltri mi voleva portare portare con sé, al Giornale, quando subentrò al grande Montanelli, dopo la straordinaria stagione dell'Indipendente. Dissi di no. Una volta Berlusconi mi ha inviato una lettera di insulti per una mia intervista. Se la trovo la dò a Travaglio, ma sarà sepolta nel mio archivio e non ho voglia di cercarla».

Dalle parti del 68
«Mario Capanna era sincero e infatti non ha fatto alcuna carriera. Altri leader del Movimento studentesco o dei gruppi politici giovanili di allora, invece, volevano solo le poltrone e diventare direttori del Corriere della Sera - ha detto Fini, che ha raccontato dei suoi incontri con Pasolini e con Nurajev -. La libertà sessuale e il femminismo erano già iniziati prima di quella finta rivoluzione, fatta dai figli annoiati della borghesia. Paolo Mieli, per dire, c’è riuscito, a fare carriera. Va detto però che qualcuno era ed è bravo: Gad Lerner per esempio è un ottimo giornalista».

Fini e la guerra
«Oggi c’è una guerra tecnologica che pare asimmetrica - ha concluso Fini, che ha poi dovuto firme copie fino a tardi per i tanti estimatori -. Si fa con i droni o con i bombardamenti, che quando li fanno gli Usa uccidono due militari e cento civili... Una civiltà si misura, anche, da come tratta i suoi prigionieri. I soldati italiani internati negli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale furono rispettati. Oggi gli Usa hanno creato Abu Ghraib. Ho inneggiato a Milosevic? Sì, è vero. L'ho fatto durante un concerto musicale di Bregovic. Sono contro il pensiero unico. E la storia della guerra in Jugoslavia, in Occidente, è raccontata sempre e solo in chiave anti-serba. Non mi piace».

«Sogno una casa al mare»
«Ho dilapidato molte risorse - ha ammesso il giornalista -. E’ oggi non mi posso permettere una casa al mare, mio vero grande amore nella vita. Le montagne mi inquietano. Il mare mi calma. Proprio il mare mi ha aiutato ad uscire da una dipendenza dall’alcol, che mi stava facendo tanto male. L’ho fatto anche per il bene di mio figlio».